martedì 10 dicembre 2013

Altri viaggi: L'arte della felicità

Settimane fa, imbattendomi in questo film per puro caso, sono sobbalzato sulla sedia... è questa la strada da cui ripartire, mi sono detto. E ho trovato grande conforto nelle parole di Roberto Saviano, che si allineano terribilmente col mio pensiero. Le riporto di seguito.

da L'Espresso, 28/11/13


È un capolavoro “L’arte della felicità” e mostra quello che amo di Napoli, perché mostra quello che amo della vita. È un capolavoro da qualsiasi prospettiva lo si guardi. Anni fa mi capitò di vedere al cinema “La città incantata” di Hayao Miyazaki. Fu così che entrai di nuovo e per puro caso, dopo i tempi dell’infanzia, nel meraviglioso mondo dei film di animazione. Mi avvicinai a Miyazaki e al suo modo di lavorare e capii che attorno a lui tutto era capolavoro: l’organizzazione del lavoro, la scelta dello staff, persino chi allo Studio Ghibli teneva la contabilità era ispirato a criteri di umanità, rispetto e bellezza. Da quel momento non mi era più successo di vedere nulla di simile, nulla di tanto perfetto in ogni sua parte. Ecco perché quando ho visto “L’arte della felicità” mi è mancato il respiro. Mi sono sentito pieno e felice. Affranto e rinfrancato. Ho pianto lacrime calde di commozione, calde della passione di chi ci ha lavorato: di tutte le persone che ci hanno lavorato. Luciano Stella, il produttore del film, a Napoli è un mito vero, di quelli capaci di rendere migliore il posto in cui decidono di vivere. Grazie a lui, alla sua lungimiranza nel voler riaprire in via Cisterna dell’Olio il Modernissimo (la prima multisala del Sud), intere generazioni di studenti napoletani - la mia compresa - hanno potuto formarsi una vastissima cultura cinematografica. Se amo il cinema, se mi manca come l’aria ora che non ho la libertà di poterci andare, lo devo a lui. Luciano Stella ha prodotto “L’arte della felicità” decidendo di investire nell’animazione per adulti in un momento di crisi, perché - come ha detto in un’intervista - la crisi è rottura di vecchi equilibri, non solo catastrofe e fallimento. Nella crisi Luciano Stella ha visto un’opportunità soprattutto se si battono sentieri nuovi e l’animazione per adulti in Italia non ha una storia, non ha precedenti. “L’arte della felicità” è il primo, incredibile esemplare con cui misurarsi. E i talenti li ha messi tutti a disposizione Napoli. Il racconto e i disegni sono di Alessandro Rak, un napoletano, un genio del disegno. Napoletano come gli altri disegnatori, come gli animatori, come i musicisti, come gli informatici. E Napoli ci ha messo anche la capacità di produrre un gioiello con mezzi esigui. Una città in difficoltà da sempre è il luogo da cui ripartire, è il luogo che può insegnare al resto del Paese come considerare la crisi (dal greco κρίσις, decisione) un momento di riflessione prima della rinascita e non l’ultimo rantolo prima della morte. La crisi di un uomo, Sergio Cometa (se Stella è il cognome del produttore, mi ha fatto sorridere il pensiero che questo film potesse essere una stella cometa da seguire per la ricerca della felicità), di un musicista, che perde la persona più preziosa, suo fratello. Un fratello con cui nella vita ha condiviso tutto. Finanche la passione - che è professione - per la musica. Attorno a quest’uomo, e a questo dolore, una serie di personaggi. Citazioni poetiche di una Napoli che diventa meravigliosa perché stranamente, nonostante la sua monnezza, nonostante il Vesuvio, nonostante il mare e nonostante la pioggia che mi ricorda Malacqua di Nicola Pugliese, nonostante tutto, smette di essere Napoli e diventa una metropoli che si può amare. Una Napoli invasa dalla pioggia che cessa di essere crudele e si trasforma in balsamo per le anime sofferenti. Balsamo per l’opportunità che offre di perdersi nel suo ventre, per le infinite combinazioni di incontri possibili. Una Napoli struggente negli affreschi aerei di Alessandro Rak, il cui tratto coglie tutto, anche il minimo dettaglio. “L’arte della felicità” è un capolavoro che ho voglia di consigliare. Mi viene da dirvi: smettete di fare qualsiasi cosa stiate facendo e andate a vederlo perché è un film coraggioso. Coraggioso in una fase in cui odio, crudeltà e ferocia sembrano essere gli unici fari; coraggioso in una fase in cui distruggere sembra essere l’unica strada per ricominciare. Al centro di questo arido sentiero c’è la trasformazione di Sergio Cometa, c’è il racconto della resistenza del bene, del volersi bene come necessità per una vita dignitosa. Al centro di questo arido sentiero si erge coraggiosamente “L’arte della felicità”. L’insegnamento buddista secondo cui nulla nasce dal nulla ma tutto diventa altro, qui, si fa carne e sangue. Si fa sentiero da seguire per poter sperare in un paese diverso.

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